“Se il mondo non si dà una mossa a salvare il popolo palestinese, sarà una tragedia!”.
È un grido di dolore, quello del dott. Rami Musleh, 65 anni, medico palestinese originario di Nablus e ormai da tempo cittadino pinerolese. Abbiamo incontrato il dott. Musleh mentre era impegnato nella campagna di vaccinazione anti-Covid; anche lui ovviamente sostiene che bisogna puntare alla vaccinazione del maggior numero di cittadini. “Le notizie che arrivano dall’Africa non sono buone, ma contiamo che la vaccinazione ci porti fuori dalla pandemia. Lo scorso anno non sono stati fatti i necessari controlli: quest’anno stiamo lavorando per le vaccinazioni, i controlli sono più diffusi, e anche i dispositivi di protezione sono utilizzati da più persone. Nel 2020 ricevemmo complimenti da altri Paesi europei, per come avevamo affrontato la pandemia, ma molte cose erano state affrontate in fretta; quest’anno le cose vanno molto meglio, per quanto riguarda il nostro lavoro”.
Rami Musleh è arrivato in Italia nel 1980, si è laureato a Torino e specializzato in ematologia con il prof. Pileri, nel 1999. Subito dopo la laurea ha lavorato a Candiolo, nel trapianto di midollo e nella raccolta delle cellule staminali, e alle Molinette. Oggi lavora all’ospedale Agnelli di Pinerolo, nel reparto trasfusioni.
Viene da Nablus, in Cisgiordania. “Quelli che sono chiamati Territori Autonomi Palestinesi. Autonomi per modo di dire, perché sotto occupazione israeliana, entrano ed escono come vogliono”. Negli anni ’80 la situazione era leggermente migliore, fino all’Intifada del 1987. Vennero poi gli “Accordi di Oslo” del 1993, per i quali a Rabin e Arafat fu consegnato il Nobel per la pace, e l’uccisione dello stesso Rabin nel 1995. “Uccidendo Rabin uccisero anche il processo di pace. Hamas prese il potere a Gaza. In Cisgiordania, l’Autorità Palestinese non è stata in grado di far rispettare gli Accordi, e Israele ha continuato ad invadere con i suoi coloni il territorio in cui avrebbe dovuto nascere la Stato Palestinese, a partire dal quartiere di Sheikh Jarrah in Gerusalemme Est, considerato la sede della futura capitale. Gli Accordi assegnarono ai Palestinesi il 23% del territorio: cioè, abbiamo rinunciato al 77% del territorio in cambio di uno Stato indipendente. Oggi i coloni israeliani hanno occupato buona parte di questo 23% con la forza. L’ultimo violento scontro ha avuto origine dalla chiusura della Spianata delle Moschee durante il Ramadan, ma anche dall’occupazione di Sheikh Jarrah. Fa male vedere la gente innocente buttata fuori di casa, per strada, dall’esercito israeliano; fuori dalle proprie case, che vengono assegnate gratuitamente ai coloni provenienti da tutto il mondo”.
Loro sostengono che erano lì da seimila anni, che quella terra è loro…
“Macché seimila anni! Sappiamo tutti dove è nato Mosè: in Egitto! E Gesù? Era palestinese. In realtà Israele sta seminando zizzania tra i Paesi arabi per dominarli, li divide come succedeva con il colonialismo. Il Medio Oriente è stato frazionato in piccoli Paesi come Kuwait, Qatar, eccetera, solo per tenerli meglio sotto controllo. Se andiamo a vedere la Storia, il Kuwait non è mai stato indipendente, è sempre stato territorio iracheno, aveva ragione Saddam Hussein. Con questo non voglio difendere un dittatore che ha compiuto atti di crudeltà, soprattutto verso il popolo Curdo, ma verso l’Occidente non ha mai fatto nulla di male, anzi: Saddam Hussein ha condotto una guerra contro l’Iran per conto degli USA, che per ringraziamento hanno invaso l’Iraq con la scusa di voler cercare le armi di distruzione di massa, uccidendo migliaia di persone e lasciando il Paese con montagne di debiti”.
Torniamo a noi. Sei arrivato nel 1980. Cosa ti ha spinto a venire in Italia?
“In Palestina non avevamo università, allora, e chi voleva continuare gli studi doveva andare all’estero. Nei Paesi arabi i posti destinati ai Palestinesi erano limitati, quindi ho fatto domanda in diversi Paesi europei, e il primo a rispondere è stata l’Italia. Quando mi è stato chiesto quale città preferissi, non sapevo rispondere; l’unico riferimento che avevo dell’Italia erano le auto Fiat, conosciute in tutto il mondo, così scelsi la città della Fiat. Per diversi anni ho viaggiato molto tra Italia e Palestina, dovevo farlo anche per conservare la cittadinanza palestinese, il rinnovo del permesso di soggiorno lo richiedeva. Dovevo rientrare a Nablus almeno una volta all’anno, per rinnovare la cittadinanza. Una volta non ci sono riuscito, e l’ho quindi persa. Le leggi sono studiate dagli Israeliani per favorire l’allontanamento dei Palestinesi. Nel 1999, in pieno processo di pace, sono tornato a casa con l’intenzione di rimanervi a lungo, e Israele mi ha invece accordato un permesso di 14 giorni. Me ne sono andato anche perché erano ricominciate le violenze, una nuova Intifada. Un giorno alcuni coloni hanno sparato sul bus sul quale viaggiava mia figlia per andare a scuola. Solo la prontezza della maestra, che ha fatto sdraiare a terra tutti i bambini, ha impedito una strage”.
È andata bene: spesso i bus saltavano in aria.
“Sì, e lo fanno ancora oggi. Ma fanno di peggio, so di una famiglia bruciata viva in casa, dai coloni”. Rami mostra le foto di un suo amico, all’interno di una grotta: “Ecco dove i Palestinesi sono costretti ad andare a vivere, cacciati dai coloni israeliani: sulle montagne! Lui e la sua famiglia vivevano a Silwan, che è stata sgomberata nei giorni scorsi con il pretesto di abbattere alcune abitazioni abusive. Sbattuti fuori di casa senza altra alternativa. Non sto esagerando: Israele sta mettendo in pratica il piano per la realizzazione di uno Stato completamente ebraico. Non hanno neanche dato loro il permesso di rientrare per raccogliere tutte le loro cose: mandati via e, bum!, casa abbattuta. Se il mondo non si dà una mossa per salvare il popolo palestinese, sarà una tragedia!”.
Ci sono diversi Paesi da salvare, non solo la Palestina…
“Mah, forse la Cina si comporta in questo modo, con il Tibet, o Hong Kong… Ma questo conflitto va avanti da settant’anni, nessun Paese al mondo ha subito tutto questo, molti nel frattempo sono diventati indipendenti. La Naqbah è una situazione unica al mondo. Quando è stato istituito, nel 1947, lo Stato israeliano era molto più piccolo; col passare degli anni, hanno saputo allargarsi fino ad arrivare all’attuale estensione. Non solo, ma Israele entra ed esce dai Territori come vuole, arresta gente, butta giù case, e l’Autorità palestinese è come se non esistesse, anzi è costretta ad appoggiare Israele: gli accordi di pace prevedevano la collaborazione in tema di sicurezza, perciò l’Autorità palestinese non permette neppure di tirare un sasso contro gli Israeliani: altrimenti, se non l’arresta la polizia palestinese lo fa quella israeliana, forte degli accordi. Il popolo palestinese non può fare nulla.
Tutte le attività economiche sono israeliane: nei Territori ci sono solo artigiani, commercianti e qualche agricoltore. Il popolo palestinese vive dell’elemosina di Europa, America e dei Paesi arabi. Uno stato che non esiste, per un popolo che non esiste e scomparirà in breve tempo. In Cisgiordania Israele ha costruito un muro, e fa passare chi vuole, quando vuole. Quando ero a Nablus, se mi servivano dei farmaci dovevo andare a Ramallah, o mandare qualcuno, e dovevo passare il checkpoint, con il rischio di venire fermato; e allora mi toccava cambiare il protocollo della terapia, rischiavo di far morire il paziente. Una cosa ridicola, una vita da schifo”.
Hai ancora i tuoi parenti, in Palestina? Cosa vi dicono, sulla situazione?
“Ho fratelli, sorelle, nipoti. Ci dicono che vivono male, ovviamente. Non c’è lavoro, i commercianti, con piccoli negozi, sopravvivono; poi ci sono i piccoli agricoltori, proprio piccoli perché gli Israeliani hanno tolto loro i terreni da assegnare ai coloni. Ci sono poi gli operai che vanno a lavorare nelle fabbriche israeliane oppure come muratori, ma lavorano tutti a giornata. Bassa manovalanza: vanno in un posto, arriva un Israeliano che ha bisogno di due operai, dà lavoro per una settimana o qualche giorno, funziona così. Può capitare che qualche imprenditore abbia bisogno di manodopera per qualche mese, altrimenti è così”.
Come è composta la tua famiglia?
“Mia moglie è italiana, di Giaveno; ci siamo sposati nel 1992. Nel 1993 è nata la prima figlia, la seconda nel 1996. I maschi sono più giovani, sono nati a Nablus nel 2000 e nel 2001. Ci eravamo andati nel 1999 con l’intenzione di rimanervi, ma vedendo che le cose andavano male, siamo tornati qua e ho dato loro la cittadinanza italiana, appena possibile. Non hanno mai avuto problemi con i coetanei perché ben educati e apprezzati dai loro insegnanti. Il razzismo c’è, ma la vita umana deve essere apprezzata, di qualunque religione, di qualunque pelle o razza essa sia: è sempre vita umana”.
La tua professione è una scelta precisa, da questo punto di vista.
“Bravo. Già il mio papà ce lo diceva: nel Corano è scritto che chi salva una persona, salva tutto il mondo, e chi uccide una persona, uccide tutto il mondo. La nostra religione non è quella che vogliono far apparire. Il problema non è nella religione, ma nelle persone che se ne servono. È successo anche ai tempi delle Crociate, no? I terroristi per me sono solo delinquenti, assassini. Non è vero che l’Islam incita alla violenza, non è vero! Andate a leggere il Corano. Non è che il Dio dei cristiani sia più bravo del Dio dei musulmani! Ognuno lo prega a suo modo: chi va in chiesa, chi in moschea, chi in sinagoga, ma la religione di Dio è unica. La nostra religione dice di non uccidere, non di non uccidere i musulmani. Non dice di non rubare al musulmano: rubare è rubare, per qualunque religione. Queste cose sono frutto di ignoranza, come ad esempio quella ragazza di famiglia pakistana: quale religione obbliga una figlia a sposare chi non vuole, altrimenti deve morire? È orribile, non è religione. Solo Dio può togliere la vita, io sono contrario anche all’eutanasia. Dobbiamo tutti rispettare la vita umana, in ogni sua forma”.
Da quanto tempo non torni a Nablus?
“Dal 2015. Allora ci avevano sequestrato i passaporti per tre o quattro ore, alla frontiera con la Giordania, e mia figlia si è arrabbiata, per essere stata maltrattata in quel modo: mi ha detto chiaro che sarebbe stata l’ultima volta che veniva in Palestina. Adesso studia Informatica. La mia figlia più grande, laureata in lingue, ha trovato lavoro in Germania e ora vive là. I miei figli frequentano l’università, il più giovane studia Storia, l’altro Scienze Politiche”.
Quando sei arrivato in Italia, nel 1980, cosa hai fatto?
“Sono stato a Perugia, per imparare la lingua, circa otto mesi, poi sono venuto a Torino, mi sono laureato alle Molinette, nel 1993. Ho faticato un po’ per mantenermi, le leggi di allora non permettevano agli stranieri di lavorare, c’era sfruttamento e bisognava prendere quello che c’era; ho anche cambiato diverse abitazioni. Ma io non ho mai avuto problemi, perché se uno si comporta bene si guadagna la fiducia e il rispetto, la gente ti dà una mano e ti tratta bene. Se sei uno che cerca problemi, li trovi anche a casa tua”.
Come sei arrivato a Pinerolo?
“Quando nel 2002 siamo tornati dalla Palestina, ho iniziato a lavorare a Candiolo, e abitavamo a Rivalta. Ho lavorato molto, come medico, in provincia di Cuneo: Venasca, Saluzzo e Barge, e per le associazioni di donatori di sangue, Avis e Fidas, fino a quando sono entrato all’Ospedale Agnelli. Nel 2007 ottenni un contratto a termine, e nel 2009 ci fu il concorso per il centro trasfusionale, perciò vi entrai a titolo definitivo. Intanto i figli crescevano, abbiamo trovato una casa a Scalenghe, e vi ci troviamo benissimo”.
Ti è capitato di dover curare un Israeliano?
“Mi è capitato in Italia. Ma per me non c’è alcuna differenza, ripeto, una vita è una vita, di qualsiasi religione sia. La mia famiglia, la mia educazione, la mia religione me lo impongono. Altrimenti, perché avrei messo in piedi l’Ambulatorio Sociale, in cui non guadagno un soldo e anzi ci rimetto di tasca mia? Perché aiutare la gente è nella mia cultura, è la mia mentalità, me lo hanno insegnato i miei genitori! Non ho mai guardato né il colore della pelle, né la religione. Ho anche organizzato la raccolta di sangue in moschea, per conto della Fidas, sia qui a Pinerolo, sia a Torino”.
Come è nato Ambulatorio Sociale?
“L’ambulatorio è stato inaugurato martedì 21 maggio 2019, alla presenza del Vescovo e del Pastore Valdese, per assistere le persone bisognose e le famiglie in difficoltà. Sappiamo che il Servizio Sanitario Nazionale è tra i migliori del mondo, ma sappiamo anche che spesso le liste di attesa sono lunghe, lunghissime. Noi operiamo in appoggio al Servizio nazionale, per chi non ha la possibilità di pagarsi una visita privata. Con noi operano volontari di diverse associazioni, che svolgono questo servizio verso immigrati, anziani o disabili già seguiti dalle stesse, oppure medici in pensione che offrono volentieri la propria opera. Abbiamo anche un progetto che mira al controllo della sicurezza in casa e nei luoghi di lavoro, per esempio per gli impianti elettrici, o per caldaie difettose. Una rete di artigiani che possano svolgere servizi di manutenzione gratuiti per gente bisognosa, e anche per scambi di lavori”.
Ma questo non toglie lavoro agli artigiani?
“No, perché chi non ha denaro per questi lavori, vi rinuncia, continuando a vivere nel rischio. Stiamo parlando di lavori che non verrebbero affrontati comunque. Chi non ha risorse non si occupa di manutenzione e prevenzione”.
Questo ambulatorio ha dei costi: come li affrontate?
“I locali ci sono stati messi a disposizione dalla Società Operaia di Mutuo Soccorso, siamo nell’edificio che ne ospita il Museo Storico. Lo stesso presidente della Società, dott. Emilio Gardioli, presta la propria opera gratuita in Ambulatorio Sociale. Inoltre abbiamo ottenuto finanziamenti bancari, l’aiuto di altre associazioni che ci hanno fornito attrezzature come ad esempio il computer, e infine abbiamo le donazioni dei cittadini”.
Qui ci viene in aiuto il dott. Gardioli, interpellato al telefono: “Il dott. Rami ci ha aiutato molto per procurarci l’attrezzatura necessaria: siamo anche andati insieme nei magazzini dell’Ospedale. Ma alcune cose, come l’attrezzatura oculistica, hanno un costo troppo elevato. Il dottor Amasio, l’oculista, quando è andato in pensione ed ha iniziato il volontariato con l’Ambulatorio Sociale, si è offerto di visitare i pazienti nei suoi studi di Pinerolo e Cavour, risolvendo così il problema dell’attrezzatura”.
Terminiamo con le parole del dott. Rami sulla questione palestinese:
“Speriamo che il mondo si renda conto che si sta distruggendo un popolo, che gli si sta togliendo il diritto di vivere perfino sul pezzetto di terra rimasto. La destra israeliana non vuole cederne ai Palestinesi neppure un centimetro. Ogni giorno viene ucciso qualcuno, anche senza un reale motivo: nemmeno i cani vengono ammazzati con tale violenza. Ci avete portato via la nostra terra e le sue risorse, dai giacimenti di gas naturale ai nostri aranci e ai nostri ulivi: almeno lasciateci vivere!”.
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