Settembre 2020, dialogo tra Carlo Petrini e il direttore di Avvenire, al Festival di Dogliani.
“Da queste colline, la gente partiva, andava a prendere i bastimenti per le Americhe: un tempo gli untori eravamo noi”. Parla chiaro, Carlin Petrini, com’è sua abitudine, a Dogliani, la città di Luigi Einaudi e del Dolcetto, che ha ospitato il Festival della TV e dei nuovi media, in cui si è parlato di comunicazione, e il cui tema era quest’anno #mediaforfuture, ovvero il ruolo dei media nel raccontare la compatibilità dei nostri modelli di vita con le risorse del pianeta. Il dialogo tra il piemontese Petrini, creatore di Slow Food e grande comunicatore dei saperi popolari, e l’umbro Marco Tarquinio, direttore del quotidiano Avvenire, ha come tema “La Terra non ci appartiene”, e come sfondo l’ombra dell’opera “Terrafutura”, il libro-colloquio tra lo stesso Petrini e Papa Francesco, appena pubblicato. Tarquinio apre riflettendo sulla pandemia, che ha messo in dubbio tutte le certezze di una struttura che pareva solidissima. “Sembra che la politica abbia cominciato solo ora ad accorgersi che occorre studiare nuovi sistemi, nonostante l’Europa stia promuovendo un “Green deal” rivolto al disastro ambientale”.
“La Terra non ci appartiene”, esordisce Petrini, “dobbiamo fare molta attenzione a non abusare nell’utilizzo di risorse che non sono infinite, politica che sta creando disastri che saranno di proporzioni gravissime. Tutto è però connesso, non possiamo ridurre questi temi ad un contesto unicamente ambientalista: riguardano l’intera vita sociale, non solo una parte della politica”.
Petrini pone l’accento sulla carenza di leggi a difesa del territorio, ricordando che tra i circa 7.500 studi economici sostenuti dall’Unione Europea, soltanto 32 riguardano l’ambiente. Auspica inoltre una società più equa, da realizzare anche con l’aiuto dei fondi europei. “Non possiamo vivere in un Paese in cui un calciatore guadagna mille volte lo stipendio di un infermiere”. Punta sui giovani: “La memoria contadina va preservata e valorizzata: si parla tanto di bio, ma una volta tutti i contadini facevano il biologico, era normale. Occorre che i giovani abbiano il coraggio di recuperare le tradizioni di una volta, di allontanarsi dalla logica del profitto. Il detto piemontese ‘Se i vecchi potessero e se i giovani sapessero’, oggi sembra essersi ribaltato: se i giovani potessero applicare idee nuove e se i vecchi sapessero che un cambiamento è possibile. Avere maggiore fiducia nei giovani è fondamentale per una società equa e per rafforzare il rapporto intergenerazionale. Una ragazzina svedese è stata in grado di mobilitare in pochi mesi milioni di giovani di tutto il mondo!”.
Tarquinio introduce l’argomento delle migrazioni, ricordando che il periodo in cui abbiamo vissuto il blocco dei movimenti ci ha fatto comprendere quanto siano collegati il sistema e il movimento delle persone: non c’è vita senza relazione, senza scambio. Giusto, però, anche stabilire regole: ci sono i morti, ci sono i traffici, c’è lo sfruttamento.
Petrini ripropone il punto focale del suo pensiero, le comunità: “Dobbiamo allontanarci dal concetto di consumo come misura: chi ha più soldi consuma di più, e fa girare l’economia. Smettiamola con la competitività e cominciamo con cooperazione e condivisione, e possiamo farlo dando importanza ad un soggetto più forte di ogni sindacato o partito, o delle chiese, le comunità, in cui è viva la certezza affettiva, che viene fuori nei momenti di difficoltà. L’errore del singolo viene condiviso dalla comunità e superato, mentre nella nostra società viene sfruttato dall’avversario, pronto ad accoltellarti. Partecipai con Papa Francesco al Sinodo Pan-Amazzonico, esperienza umana straordinaria, per la difesa degli indigeni dallo sterminio. Oggi hanno una media giornaliera di mille morti, in maggioranza poveri delle favelas e dell’Amazzonia. La politica di Bolsonaro si rivela come qualcosa di molto vicino al genocidio, nell’indifferenza della comunità internazionale”.
Si parla infine di svolta epocale e di coraggio, Carlin esorta a prendere posizione per un cambiamento profondo, a saper capire quante bugie si stanno raccontando, ad esempio, nei confronti dei migranti africani, “costretti a scappare dai propri Paesi per guerre, ma anche per crisi economiche determinate, in massima parte, da un’economia europea che ha avuto un ruolo predatorio. Nessuno se lo dimentichi”. Una visione “semplicistica, che porta a colossali sciocchezze; il fatto che questi migranti siano gli untori è una menzogna. Proprio da qui, da queste colline, la gente partiva, prendeva i bastimenti per le Americhe: un tempo gli untori eravamo noi. Il fenomeno migratorio esiste da sempre sulla faccia della Terra. Ma c’è un elemento di cui dobbiamo essere ben coscienti: se non cambia la situazione ambientale, il fenomeno migratorio si moltiplicherà in maniera impressionante, al punto che FAO e ONU hanno dichiarato che il cambio climatico potrà provocare un esodo pari ad almeno 200 milioni di africani. Avere coscienza che tutto è connesso significa capire che forse, se questa umanità dolente oggi ci fa paura, un domani potrebbe aiutarci. Nelle nostre osterie si cantava, ancora fino a pochi anni fa, dei nostri migranti che con l’ingegno ed il sudore hanno fondato intere città, oltreoceano. Se non c’è questa memoria, noi non possiamo capire la ricchezza che rappresentano le persone che vengono nel nostro Paese a lavorare, e non per essere sfruttati. La politica da portare avanti è quella del cambiamento profondo dentro la nostra testa”
C’è un gran lavoro da fare, per custodire la casa comune, la Terra, che non ci appartiene: noi ne siamo solo i custodi. Ce lo ha ricordato Papa Francesco e ce lo ricorda Carlo Petrini.
Marco Gambella.
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Smettiamola con la competitività, cominciamo con la cooperazione e condivisione. la terra non ci appartiene. Siamo degli abitanti e la dobbiamo conservare per coloro che verranno dopo di noi.
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